IL CLAMORE DI QUELLI CHE SOFFRONO
La parabola della vedova e del giudice senza scrupoli è, come tanti altri, un racconto aperto che può suscitare in coloro che ascoltano risonanze diverse. Secondo Luca, è un appello a pregare senza scoraggiarsi, ma è anche un invito a confidare che Dio farà giustizia a coloro che lo invocano giorno e notte. Che risonanza può avere oggi in noi questo drammatico racconto che ci ricorda tante vittime abbandonate ingiustamente alla loro sorte?
Nella tradizione biblica la vedova è simbolo per eccellenza della persona che vive sola e abbandonata. Questa donna non ha marito né figli che la difendano. Non può contare su appoggi né raccomandazioni. Ha solo avversari che abusano di lei, e un giudice senza religione né coscienza a cui non importa la sofferenza di nessuno.
Quel che chiede la donna non è un capriccio. Reclama solo giustizia. Questa è la sua protesta ripetuta con fermezza davanti al giudice: «Fammi giustizia». La sua richiesta è quella di tutti gli oppressi ingiustamente. Un grido che è nella linea di quello che diceva Gesù ai suoi: «Cercate il regno di Dio e la sua giustizia».
Sicuramente Dio ha l’ultima parola e farà giustizia a quelli che gridano a lui giorno e notte. Questa è la speranza che ha acceso in noi Cristo, risuscitato dal Padre da una morte ingiusta. Ma finché non arriva quest’ora, il clamore di quelli che vivono gridando senza che alcuno ascolti il loro grido, non cessa.
Per la grande maggioranza dell’umanità la vita è un’interminabile notte di attesa. Le religioni predicano la salvezza. Il cristianesimo proclama la vittoria dell’Amore di Dio incarnato in Gesù crocifisso. Nel frattempo, milioni di esseri umani sperimentano solo la durezza dei loro fratelli e il silenzio di Dio. E molte volte, siamo proprio noi credenti che nascondiamo il suo volto di Padre velandolo con il nostro egoismo religioso.
Perché la nostra comunicazione con Dio non ci fa finalmente ascoltare il clamore di quelli che soffrono ingiustamente e gridano a noi in mille modi: «Fateci giustizia»? Se pregando ci troviamo veramente con Dio, come non siamo capaci di ascoltare con più forza le esigenze di giustizia che arrivano fino al suo cuore di Padre?
La parabola interpella noi tutti credenti. Continueremo ad alimentare le nostre devozioni private dimenticando chi vive soffrendo? Continueremo a pregare Dio per metterlo a servizio dei nostri interessi, senza che ci importino molto le ingiustizie che ci sono nel mondo? E se pregare fosse proprio dimenticarci di noi e cercare con Dio un mondo più giusto per tutti?
José Antonio Pagola
Traduzzione: Mercedes Cerezo